Spirito diVino!

spirito divino

Ormai immagino tu abbia già iniziato ad inquadrarmi. O almeno credi di averlo fatto.
Vero?
Se sì, suggerisci!
Io stessa ogni tanto vado “giù di squadro” [1] ed un aiuto mica lo disdegno.

Sono tanti gli indizi che ho seminato in queste mie prime righe.
Li hai già colti tutti?
Va beh! Io per pura licenza poetica faccio finta che non sia così.

Un indizio tra i tanti l’ho scritto nella mia presentazione in questo blog:
“Sono cresciuta a Parmigiano Reggiano e Lambrusco”.
Vero!
Sì! Fino a quando il Lambrusco non ha incontrato altri rispettosi colleghi.

Il mio viaggio è iniziato da bambina. Bambina, bambina.
Erano più o meno gli inizi degli anni, non te lo dirò mai.
Una casa colonica ai piedi delle colline reggiane, in una calda estate emiliana.
E’ mattina.
I miei nonni al lavoro nei campi. Io affidata alle cure della mia vegliarda, nonché strolga [2], bisnonna Gigia.
L’erba appena tagliata ordinatamente ammucchiata in soffici sbuffi dinnanzi alla porta della stalla. Sotto alla volta della porta morta [3], sto giocando.
In assenza del nonno, sto facendo un gioco proibito: saltare allegramente sull’erba fresca. [4]
Ad un certo punto la mia attenzione viene catturata da una vacca che, liberatasi dalla catena e fuggita dalla stalla, si avvicina significativamente al mio volto.
Sentendo il mio strillo di allarme, la vegliarda bisnonna strolga, si affaccia dalla finestra del primo piano e grida:
“Putèina, t’è ciapê paura?! Adèsa a ‘gh pèins mé!”
Tradotto:
“Bambina, hai preso paura?! Adesso ci penso io!”.

Da qui inizia la mia avventura nel mondo dello spirito.

Mi accompagna nella propria stanza da letto al piano di sopra.
Dal fornello – perchè ne avesse uno in camera per me è ancora un mistero – prende un pentolino e, in una tazza, versa un invitante liquido color rubino. Con reverenziale rituale, me la porge.
Io bevo.
Bevo. E ribevo.
Sono passati molti anni da quel giorno, ma nulla è così chiaro nella mia memoria quanto il meraviglioso sapore di quella bevanda.
Nulla di più inebriante dell’abbraccio caloroso di quelle spezie, di più clandestino, enigmatico e consolatorio del mio primo Vin Brulè.

Con un esordio del genere, come puoi accostarti ad un bicchier di vino se non con Amore?

In quel giorno ha avuto inizio il mio viaggio. Dal Trentino, alla Sicilia. Con soste nelle Marche ed in Toscana, passando dal Salento e proseguendo poi per la Sardegna. E da lì, verso il Friuli arrivando addirittura in Cile ed in California. Diverse località in poche ore. Regioni visitate in una manciata di giorni. Stati e continenti attraversati in meno di una settimana.
Ho viaggiato molto! Moltissimo!
Sì, davvero tanto. L’ho fatto partendo dalla prestigiosa enoteca di fiducia, al salotto di casa mia.
La geografia da sempre non è il mio forte, ma chissà come, con la carta dei vini in mano, non mi perdo mai.

Vabbè! Scritta così concedo libero sfogo a mille pensieri maliziosi.
Lo so a cosa stai pensando!
No, non sono un’alcoolista.
Sono semplicemente un’estimatrice.
Conosco il valore che si cela dietro ad ogni calice di vino, dietro ad ogni bottiglia.
Grazie alle mie radici contadine, ho imparato a vedere il duro lavoro che c’è dietro ad un bicchier di vino.
Ancora una volta, parte tutto dall’Amore.
Parte da uomini come mio nonno che, alla veneranda età di 90 anni, iniziava indomito la propria giornata controllando le vigne. A volte recandosi nei campi ancora prima del sorgere del sole, facendosi luce con i fari dell’auto.
Sta tutto nella cura delle vigne. Nell’arte del potare, nelle varie lavorazioni stagionali, fino alla vendemmia: cruciale momento del raccolto, durante il quale cogliere il grappolo senza toccare i tralci è doveroso.
E poi da lì alla cantina, per il fondamentale passaggio di trasformazione.
E nel frattempo, dal primo germoglio primaverile al grappolo settembrino, impari a guardare con circospezione ogni temporale, ogni calo della temperatura, ogni pioggia che arriva o che si fa desiderare.
Dietro ad ogni bicchier di vino c’è un intero anno di lavoro. Una vita di lavoro.

E così è per tutti i processi di coltivazione e trasformazione.
Le olive ed il conseguente olio, le mele, le angurie, i meloni, le ciliegie, noi.
Sì, noi!
In fondo anche noi siamo il risultato di quanto investito durante tutta la fase di “coltivazione”.
Anche noi siamo il risultato finale di tutte le fasi di lavorazione che contraddistinguono la nostra vita.
Da quando germogliamo, fino al momento in cui saremo colti.
Ed è un processo che fino all’ultimo giorno non finisce mai di farci evolvere, di mutare. Un processo che, voglio credere e lo credo, non finisce mai di renderci esseri migliori.
Ci rende tali, se tali vogliamo diventare.
Perché a differenza del grappolo d’uva, di un’oliva od altro non siamo costretti a rimanere inerti ad attendere le cure esterne. Non siamo obbligati a rimanere esposti alle intemperie o alla bruciante siccità.
A noi è concesso muoversi. Abbiamo la possibilità di agire. Ci è dato il libero arbitrio.

E’ vero! A volte anche noi siamo sorpresi da tremendi temporali o bloccati da gelide bufere emotive, ma abbiamo comunque e sempre la possibilità di metterci al riparo. Possiamo scegliere di tutelarci da ciò che è nocivo, per poi riprendere il giusto cammino allo spuntare del sole.
Lo so, è una gran fatica! Un impegno quotidiano che richiede costanza, determinazione e tanta, tantissima fiducia verso la Vita stessa ed il suo fluire. Ma, in fondo, non è lo stesso che serve per assaporare un buon bicchier di vino?

 

[1] Gergo dialettale reggiano: identifica una situazione tale per cui  gli angoli del quadrato non sono di 90°.
[2] Strolga: in dialetto reggiano significa strega, maga, indovina.
[3] Nella casa rurale i due corpi ben distinti, uno per l’abitazione della famiglia e l’altro legato alla stalla e fienile per l’allevamento dei bovini, sono collegati fra loro da un androne che attraversa tutta la larghezza dell’edificio, appunto la porta morta.
[4] Le vacche, ovvero le mucche da latte, non si cibano dell’erba calpestata.

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