Miti della guerra civile: 1861-2020 la paura di dire la verità sulla schiavitù

Iscriviti alla nostra newsletter

Iscriviti per rimanere aggiornato sulle prossime pubblicazioni

Conoscete il detto “la storia la scrivono i vincitori?”.
L’ultima volta che ho controllato, i confederati si erano beccati una serie di calci nel sedere peggio di quando nel 2012 la Spagna ha battuto l’Italia 4 a 0.

Il grande raduno dei veterani della Confederazione, tenuto a Richmond nell’estate del 1907, ha visto oltre 600 bambini vestiti coi colori della bandiera degli Stati Confederati cantare Dixie ed altri inni sudisti.

Nondimeno, sono stati in grado di creare una loro versione della Storia che è più falsa di una banconota da 3 dollari (giusto per non correre rischi, quella banconota non esiste), per esempio:
– è stata un’aggressione da parte del Nord;
– una lotta per i diritti dei singoli Stati;
– Lincoln era un tiranno;
– gli schiavi amavano essere schiavi (forse la più bella di tutte).
Queste idee sbagliate purtroppo non sono di dominio di poche persone. L’ignoranza sulla Guerra Civile è diffusa in maniera scioccante in tutti gli Stati Uniti.

In un recente sondaggio tra gli studenti americani sulle cause della guerra, più della metà degli intervistati ha dato la colpa alle “tasse sui beni di importazione”.
Ragazzi, questa è la motivazione (sbagliata tra l’altro) che insegnano per la RIVOLUZIONE.

Il Boston Tea Party, la sceneggiata di protesta sulle tasse che diede il via alla Rivoluzione Americana, 88 anni prima dei nostri fatti.

La versione sbagliata ufficiale della Guerra Civile sono i diritti degli Stati, mentre quella vera è stata insabbiata da persone che diffondevano la cosiddetta “causa perduta”: i sudisti stavano solo tentando di preservare il loro sistema di vita… il che, ok, è anche vero. Ma si omette il piccino, piccino sebbene cruciale dettaglino che il loro sistema di vita si basava sul mettere la gente in catene in base al colore della loro pelle.

C’è un gruppo che detiene la maggior parte del merito di aver spinto questa bislacca versione: le Figlie Unite della Confederazione (United Daughters of the Confederacy).
Erano un po’ come delle simpatiche vecchiette di un circolo del ricamo, che però si occupavano di propaganda schiavista.
Creato nell’ultima decade dell’800, unì tutte le organizzazioni locali preesistenti che promuovevano l’immagine del Vecchio Sud: la schiavitù era un’istituzione benigna e la Guerra Civile una lotta giusta per proteggere l’onore del Sud.

The United Daughters of the Confederacy, l’associazione fu fondata a Nashville nel 1894

Oltre ad erigere discutibili monumenti alla Guerra Civile in tutta la nazione, le Figlie si dedicavano alla diffusione della loro versione della storia.
Stando alle lezioni che tenevano ai bambini, insegnavano: 
“Non c’è alcuna macchia sulle azioni della Confederazione nella guerra tra gli Stati”
e gli schiavi “erano fedeli, devoti e sempre pronti e disponibili a servire i propri padroni”.
Pubblicarono persino dei libri di testo come linea guida per assicurarsi che la loro storia venisse insegnata nelle scuole (United Daughters of the Confederacy: catechism for children).
Raccomandavano che tutti i libri che non si dimostrassero all’altezza degli standard venissero marchiati, direttamente sul frontespizio, con la scritta “ingiusto verso il Sud”.

430Uno dei molti monumenti alla Causa Perduta eretti dalle “Figlie”

130 anni dopo la formazione delle Figlie, il loro retaggio è ancora sentito.
Un altro studio recente ha dimostrato che il libro scolastico medio non riesce a centrare le basi minime di accuratezza riguardo alle lezione sulla schiavitù e sulla Guerra Civile.
Un gran peccato. Passi che uno possa non conoscere perfettamente la trigonometria, ma che la “Schiavitù-È-Male”, dovrebbe essere facile come tirare un calcio di rigore a porta vuota.

In America anche alle persone con buone intenzioni non piace prendere troppo sul serio il tema della Guerra Civile. Lo stesso gruppo che fece il sondaggio agli studenti americani, parlò ai loro insegnanti scoprendo qualcosa di grottescamente affascinante.
Alcuni docenti bianchi ammisero che si vergognavano di insegnare le ingiustizie subite dalla gente di colore in America. Altri dissero che non amavano particolarmente andare troppo in profondità sul trauma della schiavitù, non volevano inorridire i propri studenti.

Una docente assieme a degli studenti davanti al luogo di sepoltura di due uomini schiavizzati del campus dell’Università dell’Alabama.

Quindi c’è ancora molta paura nel dire la verità in merito all’argomento, perché non piace quello che emerge riguardo ai bianchi. Il fatto è che se non si parla in modo reale e chiaro del retaggio della schiavitù americana o di qualsiasi altra nazione, si creerà un grande vuoto che verrà riempito da bugie e propaganda. E benché oggi nessuno sia responsabile delle azioni del passato, siamo tutti responsabili di come se ne parla al riguardo. Basta vedere quanto accaduto quest’anno a Minneapolis: a distanza di più di un secolo, sembra riportarci proprio a quei tempi.

Iscriviti alla nostra newsletter

Iscriviti per rimanere aggiornato sulle prossime pubblicazioni

[adinserter block="7"]

Seguici

Articoli correlati

2 risposte

  1. Ciao Alessandro, non sai quanto mi fa piacere che anche qui in Italia la storia dell’America (quella vera) sia esposta con ricchezza di particolari, troppe volte ignorati ad arte da chi, dell’essere “appassionato” di cultura americana ne mostra soltanto il merchandising e il folclore. Ma a guardare bene e ancora meglio ad ascoltare alcune di queste persone, ecco che il loro pensiero e il loro comportamento si paventano. Un malcelato razzismo e il rifiuto o il non rispetto delle regole ne fanno emergere la natura. Ecco che spuntano bandiere degli stati confederati, il disprezzo per chi non ha avuto la loro stessa fortuna di nascere sulla sponda nord del Mediterraneo. Grazie per questa lezione di verità, oggi ancora più preziosa, visti i fatti accaduti recentemente oltre oceano. Resto in attesa di poter leggere qualcos’altro di questa America che tutti noi abbiamo nel cuore. A presto, Washo.

  2. Grazie Alessandro, come ha già scritto Washo fa veramente piacere leggere interventi come il tuo.

    Concordo pienamente: l’ignoranza è alla base di tutto e non ha confini nè geografici nè storici purtroppo. Ritrovarsi nel 2020 anche semplicemente a cercare qualcosa di positivo nella schiavitù, è follia. Da non crederci.. eppure..

    Tuttavia, sarebbe impossibile oltre che ingiusto, guardare agli Stati Uniti di oggi senza tenere conto di quel periodo storico che è stato fondamentale per lo sviluppo sociale e culturale degli States. In questo senso, la Guerra di Secessione è una memoria che va preservata.
    Altrimenti, se tutto è da stigmatizzare, abbiamo problemi anche ad indossare i nostri stetson e i nostri stivali, perché il significato (e i valori) che noi attribuiamo a questi ‘simboli’ spesso non coincidono con quelli che vengono dati da chi nei cowboys vede solo fuorilegge, gente dal grilletto facile e soprattutto, sterminatori di nativi americani.

    E poi si finisce nel ridicolo, a mio parere: abbattere statue di poeti, politici, generali… …non è così che si eradica il razzismo! Non sarebbe meglio provare a sradicare le radici dell’ignoranza, anche rispetto a questi personaggi storici che oggi si vogliono cancellare a tutti i costi?
    Dicevo che si finisce nel ridicolo. Nelle ultime settimane vari gruppi country, ad esempio, hanno deciso di cambiare il loro nome, o il loro logo, perché conteneva riferimenti al Sud. Con risultati quasi comici.
    Le Dixie Chicks, per esempio, hanno pensato bene di cancellare la parola Dixie. Ora si chiamano semplicemente The Chicks. Le Pollastre. Suona meno offensivo? Dopo aver smosso tutte le praterie del Texas col movimento ‘metoo’, non è una bella idea farsi chiamare Chicks. Inoltre, non serve a niente se l’intento è quello di dare un segnale contro il razzismo.

    Secondo questa logica, andrebbe cancellata la storia di mezza America, anzi, dell’America intera. Invece, la Guerra Civile è stata un passaggio necessario verso una società più giusta anche se ancora oggi imperfetta.
    Le pagine di storia scritte in quegli anni hanno un valore enorme, che non si può ridurre a simboli e slogan utilizzati come pare e piace un secolo e mezzo dopo.

    Cancelliamo la bandiera sudista dal Generale Lee dei cugini Dukes?
    A proposito del generale Lee. Chi conosce un brano di Johnny Cash (che era uomo del Sud), ‘God Bless Robert E. Lee’?
    I primi versi della canzone penso dicano molto riguardo la guerra civile: il generale Lee decide di arrendersi per risparmiare la vita ad almeno 20mila soldati. Ritiene che 240mila morti in battaglia siano già troppi…
    ‘questa non è una canzone sul Sud o sul Nord, ma su una sanguinosa guerra tra fratelli, tra padri e figli, una guerra che non ha vinto nessuno. Per ogni vita risparmiata, devo dire Dio benedica Robert E. Lee’

    Però non è che con la vittoria dell’Unione (di cui facevano parte anche quattro stati schiavisti: Delaware, Maryland, Kentucky, Missouri) e l’abolizione della schiavitù, tutto si sia risolto. Ci sono voluti almeno altri cento anni perché ufficialmente si raggiungesse la parità dei diritti, sulla carta. E tanto altro sangue.

    A mio parere, non sono le piazze piene di violenza e odio che troppo spesso abbiamo in prima pagina, a dare una risposta vincente contro l’ignoranza, ma piuttosto il successo e il segno che hanno lasciato nella storia alcuni personaggi che hanno riscattato non solo la schiavitù, ma la dignità della loro gente. Penso a Luis Armstrong, a Sammy Davis, a Jackie Robinson, a Robert Johnson, passando per Ella Fitzgerald, Billie Holiday, B.B. King, fino ai vari Michael Jordan o Morgan Freeman. E tantissimi altri.
    E’ la bellezza del sogno americano, ancora più vero se realizzato, come è stato per tanti, in un periodo storico in cui le opportunità almeno sulla carta non c’erano.

    Ieri ascoltavo una canzone di Brad Paisley che insomma, è un ottimo cantante, un buon chitarrista ma non è lo Shakespeare della musica country in quanto a testi. Però in ‘Accidentally Racist’ in coppia con il rapper L.L.Cool J. esprime molto bene il pregiudizio e l’incomprensione che inevitabilmente si celano dietro certi simboli, dalla Rebel Flag alla collana d’oro massiccio del rapper, al cappello bianco da cowboy.

    Versi tipo: ‘caught between southern pride and southern blame’ oppure ‘I’m proud of where I’m from but not everything we’ve done’ esprimono molto bene ciò che la Guerra Civile ha lasciato dietro di sé ancora dopo centocinquanta anni.

    Ovviamente questa non è l’unica canzone a toccare il tema della guerra di secessione, ce ne sono migliaia. Nulla di sorprendente, data l’importanza dell’evento anche nella vita quotidiana delle persone che magari non avevano mai nemmeno imbracciato un fucile.
    Trovo molta bella ‘Gibbonsville Gold’, di Hank Williams Jr, perchè parla di un’altra grande epoca, quella della corsa all’oro. Ma la canzone inizia con un riferimento all’epilogo della guerra civile col protagonista che, perso tutto (When the battles were over, everythin’ we had was gone with the wind – alla fine delle battaglie, tutto ciò che avevamo se n’era andato via col vento) parte alla volta della frontiera a ovest, a cercare oro. Quante centinaia di migliaia di famiglie pagarono il prezzo di una guerra probabilmente mai voluta?

    Penso davvero che l’articolo scritto da Alessandro sia prezioso perché conoscere la storia permette di capire anche i tempi in cui viviamo. L’ignoranza invece alimenta solo odio, negli USA di oggi come ovunque nel mondo.

    Ho scritto un po’ troppo, Gigio ‘taglia pure’ se c’è da tagliare… lascio un ultimo suggerimento musicale in tema: ‘Rebel Soldier’, canto popolare della guerra civile reso celebre da Waylon Jennings nell’album ‘Songs Of The Civil War’ del 1991. Sto ascoltando la versione di Jamey Johnson, a chi piace il suo stile, una grande interpretazione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Iscriviti alla nostra newsletter

Iscriviti per rimanere aggiornato sulle prossime pubblicazioni

Condividi l'articolo