Maledetta spunta blu. Dannato ultimo accesso.
Che tu abbia 16, 42 o 75 anni, quando il cuore è in trambusto, semplici indicatori di attività diventano spietati strumenti di tortura.
Prima dell’arrivo dei social e dei cellulari, la connessione te la dovevi andare a cercare.
E non c’erano molte alternative: o alzavi la cornetta o montavi in sella al tuo mezzo di locomozione.
In entrambi i casi, la bramosia di sapere difficilmente passava inosservata.
Una semplice telefonata, a volte, poteva trasformarsi in dilemma esistenziale.
“Chiamo o non chiamo?”.
Con la mano sulla cornetta, restavi lì a fissare il disco chiedendoti quante possibilità c’erano che fosse lui a rispondere. Uno sguardo all’orologio e la mente volava a immaginare la collocazione di ogni famigliare.
Tra mille dubbi e quesiti, il desiderio di sapere se lui fosse in casa prendeva il sopravvento:
“Chiamo!”.
Ed ecco arrivare il bello.
Il dito nel cerchietto e via al primo giro di disco. Andata e ritorno.
Il secondo. Andata e ritorno.
Il terzo.
E nel frattempo avevi tutto il tempo di pensare: “Oddio e se risponde sua mamma?”.
Il quarto numero e uffa! Fissare il disco, e tutti i suoi avanti e indietro, rendeva l’attesa eterna.
Finalmente l’ultimo giro e dall’altra parte del filo il famigliare “tuu, tuu”.
<<Pronto?>>.
“Ecco lo sapevo! Sua mamma!”.
Click!
Tanta fatica e il dubbio restava tale.
Dare una sbirciatina davanti a casa o al bar per vedere se c’era l’auto, era ancora peggio.
Ovviamente passavi di lì per caso e, nel fare la spola tra un luogo abituale e l’altro, sempre per caso, passavi quelle due o tre volte.
Era inevitabile che prima o poi lui sarebbe uscito e ti avrebbe beccata, ma resistere era impossibile e così volontariamente andavi alla gogna.
E queste ronde della gelosia, mica le facevi da sola.
Un paio di amiche disponibili ad accompagnarti le trovavi sempre, anzi, il rischio era proprio quello di raccogliere un intero plotone e passare inosservati diventava utopia.
Se cercare risposte per un cuore in subbuglio ti faceva esporre al ridicolo, ti portava anche alla condivisione risanatrice. Complici le amiche. Trovarsi in situazioni imbarazzanti quanto surreali, anche se conseguenti al mal d’amore, faceva sì che l’autoironia prendesse il sopravvento. Non ricordo una di queste avventure che non si sia conclusa con risate a crepapelle.
E voi maschietti non sogghignate.
Ciò che ho scritto finora al femminile, so per certo appartenere anche a voi. Se le nostre avventure sono finite a risate, ne conosco altrettante di vostre finite a scazzottate.
Ora siamo in un tempo diverso. Per molti aspetti più semplice, per altri decisamente complicato.
La sociologia la lascio agli esperti del settore, ma un paio di considerazioni le voglio fare.
Abbiamo a disposizione strumenti che ci consentono di arrivare in ogni dove senza alzarci dalla poltrona. Ed è un bene perché l’informazione, la condivisione di nozioni, la cultura in generale sono facilmente accessibili. Senza alcuno sforzo, tutto ciò che desideriamo conoscere è a portata di un click.
Tutto, anche quello che con la cultura non ha nulla a che vedere.
“Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. In una frase, la saggezza popolare.
Ora lontano dagli occhi, è possibile solo con un grandissimo sforzo di volontà.
Questa connessione a oltranza, quando indirizzata male, è devastante.
Sempre più spesso le relazioni prima di sbocciare nella vita reale, hanno inizio nel mondo virtuale.
Ci si incontra. Un brivido d’intesa viene percepito da entrambi e nell’attesa dell’appuntamento successivo si ricorre ai social. Gli sguardi non si sono ancora incrociati per la seconda volta, che l’uno dell’altra sa già tutto. O per lo meno lo crede. Conosce ciò che viene condiviso, quanto di sé l’altro vuole far sapere. E ci si rincontra ormai viziati. La conoscenza reciproca parte già da presupposti fissati.
La storia prende vita e cresce, lasciando traccia indelebile nel mondo dei social.
E poi accade.
Accade quanto è normale che avvenga in una relazione.
Senza pensare al melodrammatico “The end”, capita d’incorrere in una discussione. La divergenza di opinioni è naturale che si manifesti e, a volte, è altrettanto comprensibile che si concluda con una sbattuta di porta.
Ed ecco il silenzio.
A esso non si è più abituati. Così come all’attesa. Quel lasso di tempo che fisiologicamente va incontro a un momento di crisi, non si è più capaci di sostenerlo. La bolla temporale necessaria all’elaborazione e al raggiungimento di un punto d’incontro, diventa insopportabile.
E così nel tentativo di placare l’ansia si ricorre a strumenti che, senza filtro alcuno, consento di controllare, guardare, spiare.
Non si ha mica bisogno di alzare la cornetta per sapere se il tuo lui, o la tua lei, è a casa. Non serve prendere l’auto e andare a vedere dov’è.
Perché esporsi al ridicolo?
Ora si può fare tutto senza alzare le chiappe dal divano. E di nascosto. Si è lì in casa propria, in completa solitudine, a fare la spola tra Facebook, Instagram e WhatsApp. A guardare i tag, gli online, l’ultimo maledetto accesso.
La mente corre, viaggia, costruisce mille scenari drammatici e dialoghi con finali apocalittici.
Facile pensare che la responsabilità sia della persona sconsiderata che abbiamo incontrato. Semplice lamentarsi di come non ci siano più gli uomini o le donne di una volta e di quanto questi mezzi infernali ci abbiano condizionato la vita. Che la colpa ricada su WhatsApp e i suoi soci, ci libera dall’unica vera responsabilità: la nostra.
In realtà questi strumenti fanno da specchio alle nostre insicurezze, alle paure più recondite. Danno voce al bisogno pressante di avere il controllo su ogni cosa e persona, consentendoci di creare alibi per le scelte procrastinate o non attuate. Ci alleviano dal peso dell’azione, ignorando che un’azione non agita è ugualmente tale e che a pagarne il prezzo saremo comunque noi.
Invece di logorarsi sterilmente davanti a un ultimo accesso, meglio prendere consapevolezza che siamo noi a voler rimanere lì a fissare quella spunta blu alla quale nessuno dà risposta. Solo noi siamo nella posizione di attuare i cambiamenti necessari al nostro benessere.
Per quanto possa essere faticoso e doloroso, prendere responsabilmente in mano la propria vita è l’unica azione che ci rende costantemente online con la felicità.